01.10.2022 – SABATO SANTA TERESA DI GESU’ BAMBINO – LUCA 10,17-24 “Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. In illo tempore: dixit Iesus…
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Dal Vangelo secondo LUCA 10,17-24
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo». E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono». Parola del Signore
Mediti…AMO
LA VITA E IL PENSIERO DEL SANTO
La Francia dell’Ottocento è il primo paese d’Europa nel quale cominciò a diffondersi la convinzione di poter fare a meno di Dio, di poter vivere come se egli non esistesse. Proprio nel paese d’Oltralpe, tuttavia, alcune figure di santi, come Teresa di Lisieux, vergine e dottore della Chiesa. ricordarono che il senso della vita è proprio quello di conoscere e amare Dio. Teresa nacque nel 1873 in un ambiente profondamente credente. Nel 2015 anche i suoi genitori sono stati dichiarati santi. Ella ricevette, dunque, una educazione profondamente religiosa che presto la indusse a scegliere la vita religiosa presso il carmelo di Lisieux.
Illuminata dalla fede, Santa Teresa vive familiarmente con il mondo invisibile: Dio, i santi, gli angeli, le sono vicini quanto suo padre, sua madre o le sorelle.
Qui ella si affida progressivamente a Dio. Su suggerimento della superiora tiene un diario sul quale annota le tappe della sua vita interiore. Scrive nel 1895: «Il 9 giugno, festa della Santissima Trinità, ho ricevuto la grazia di capire più che mai quanto Gesù desideri essere amato». All’amore di Dio Teresa vuol rispondere con tutte le sue forze e il suo entusiasmo giovanile. Non sa, però, che l’amore la condurrà attraverso la via della privazione e della tenebra. L’anno successivo, il 1896, si manifestano i primi segni della tubercolosi che la porterà alla morte.
Ancor più dolorosa è l’esperienza dell’assenza di Dio. Abituata a vivere alla sua presenza, Teresa si trova avvolta in una tenebra in cui Le è impossibile vedere alcun segno soprannaturale. Vi è, però, un’ultima tappa compiuta dalla santa. Ella apprende che a lei, piccola, è affidata la conoscenza della piccola via, la via dell’abbandono alla volontà di Dio. La vita, allora, diviene per Teresa un gioco spensierato perché anche nei momenti di abbandono Dio vigila ed è pronto a prendere tra le sue braccia chi a Lui si affida. Papa Pio XI , la beatificò il 29 aprile 1923 e la canonizzò il 17 maggio 1925. San Giovanni Paolo II in data 19 ottobre 1997 l’ha dichiarata Dottore della Chiesa. La sua memoria liturgica si celebra il 1° ottobre.
Una ragazza morta a ventiquattro anni diventa dopo neppure cinquant’anni modello di tutta la Chiesa. Quella che San Pio X ha chiamato «la più grande santa dei tempi moderni» e di cui il Papa era molto devoto, la nominò patrona delle Missioni, lei, la cui breve vita si svolse tutta fra Alenon e Lisieux e che dopo i suoi quindici anni non usci più dal convento.
Quanto spesso Gesù dimostra che i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, né le sue vie le nostre vie I nostri pensieri vengono dall’orgoglio, quelli di Dio dall’umiltà; le nostre vie sono tutte uno sforzo per essere grandi, quelle di Dio si percorrono solo diventando piccoli. Come sulle strade per andare a Nord bisogna prendere la direzione opposta al Sud, così per camminare sulle vie di Dio dobbiamo prendere la direzione opposta a quella verso cui il nostro orgoglio ci spinge.
Teresa aveva grandi ambizioni, grandi aspirazioni: voleva essere contemplativa e attiva, apostolo, dottore, missionario e martire, e scrive che una sola forma di martirio le sembrava poco e le desiderava tutte… il Signore le fece capire che c’è una sola strada per piacergli: farsi umili e piccoli, amarlo con la semplicità, la fiducia e l’abbandono di un bimbo verso il padre da cui si sa amato. “Non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre”. ~ bellissimo salmo 130 può essere applicato alla lettera alla vita di Teresa.
Così questa giovanissima donna ravvivò nella Chiesa il più puro spirito evangelico ricordando una verità essenziale: prima di dare a Dio è necessario ricevere. Noi abbiamo la tendenza a guardare sempre a quello che diamo; Teresa ha capito che Dio è amore sempre pronto a dare e che tutto riceviamo da lui. Chi vuol mettere la propria generosità prima della misericordia, prima dell’amore misericordioso di Dio, è un superbo; chi riceve quello che Dio gli dà con la semplicità di un bambino arriva alla santità: è contento di non saper far nulla e riceve tutto da Dio. È un atteggiamento spirituale che è anch’esso dono di Dio ed è tutt’altro che passività.
Teresa fece di sé un’offerta eroica e visse nella malattia e nella prova di spirito con l’energia e la forza di un gigante: la forza di Dio si manifestava nella sua debolezza, che ella abbandonava fiduciosamente nelle mani divine. Riuscì così in modo meraviglioso a trasformare la croce in amore, una croce pesante, se ella stessa dirà alla fine della sua vita che non credeva fosse possibile soffrire tanto.
Impariamo questa grande lezione di fiducia, di piccolezza, di gioia e preghiamo Teresa che ci aiuti a camminare come lei nella povertà di spirito e nell’umiltà del cuore. Saremo come lei inondati da un fiume di pace.
ESAME DEL TESTO EVANGELICO
Mi sembra di vederli quei 72 discepoli che, tornati dalla loro esperienza di missione, ne riferiscono l’esito al Signore.
Hanno compiuto quanto Gesù gli aveva affidato come missione e sono stati testimoni di qualcosa che non si attendevano «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Sono elettrizzati e carichi di entusiasmo: HANNO SPERIMENTATO L’INATTESO, L’EFFICACIA DELLA PAROLA PASSARE DALLE LORO MISERE PAROLE. Hanno visto persone cambiare, illuminarsi, guarire, credere. Sono un fiume in piena mentre raccontano, ridono, scherzano, è un momento di intensa felicità.
Dice il Salmo: il contadino “nell’andare se ne va e piange, portando la semente da gettare. Ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni” (Sal 126,6). Gioia: cháirō (rallegrarsi, esser lieto, sentir piacere) e chará (gioia) sono vocaboli noti fin da Omero. Chará può indicare tanto la condizione quanto l’oggetto della gioia. Grazia (charis), che ha la stessa radice.
Gesù cerca di farli tornare con i piedi per terra. Egli sa bene quanto i discepoli hanno realizzato e non ne sminuisce di certo il valore, ma allo stesso tempo cerca di allargare i loro orizzonti.
C’è un altro motivo per rallegrarsi, che non dipende dalle loro azioni, ma dal fatto di essere conosciuti da sempre, amati e scelti dal Signore.
La fonte della vera gioia è sapere che i nostri nomi sono scritti nei cieli e che il male non può rubarci questo amore.
E infine c’è la gioia di Gesù per come agisce il Padre, che entra in comunione piena con i più semplici, i più umili, che non si ritengono autosufficienti e si riconoscono piccoli, figli e figlie.
È la gioia consolante di chi guarda il mondo, e in mezzo alle contraddizioni, riconosce Dio INCESSANTEMENTE ALL’OPERA e ne vede la sua presenza dappertutto.
Nella foto che ho messo su questa meditazione si vede “LA MANO DI DIO”, così battezzata dagli astronomi, la cui immagine spettacolare, in uno scatto della NASA, è stata catturata dal Chandra X-Ray Observatory.
Soprannominata la “Mano di Dio” questo oggetto è una nebulosa con una forma davvero particolare. Il suo nome è “PSR B1509-58” ed è una pulsar che si trova a circa 17.000 anni luce nella costellazione del Compasso, individuata a suo tempo, dall‘Osservatorio Einstein. Ha circa 1700 anni ed è situata in una nebulosa la cui estensione è di 150 anni luce. È alimentata dal nucleo residuo e denso di una stella che è esplosa in un’esplosione di supernova.
E, piango di commozione quando penso alle dolcissime parole di un antico, meraviglioso profeta, Baruch (“Benedetto”), segretario del profeta Geremia in Babilonia durante l’esilio, nel VI’ secolo a.C., che meglio di chiunque altro ha visto in esse “LA ETERNA MANO DI DIO”:
“Le stelle brillano nelle loro postazioni e gioiscono. Dio le chiama per nome ed esse rispondono: Eccoci! E brillano di gioia per il loro Creatore” (Baruc 3, 34-35)
In una notte limpidissima il cielo si trasforma in un manto trapuntato di stelle: lo sguardo si perde tra quei miliardi di astri, di costellazioni, di galassie e nella mente sbocciano pensieri ed emozioni di grandezza e di mistero.
Già il Salmista si domandava: «Quando contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cos’è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Salmo 8, 4-5).
Il filosofo tedesco Immanuel Kant, nella pagina finale della Critica della ragion pratica, confessava che «…due sono le cose che riempiono sempre l’animo di meraviglia: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me».
La stessa scena è tratteggiata in modo originale in un libro un po’ particolare, quello di Baruch, uno scritto deuterocanonico, cioè accolto come ispirato solo dalla Chiesa cattolica e non dall’ebraismo, anche perché a noi è giunto solo in greco. Esso è costituito da differenti sezioni di argomenti disparati e, in una di queste parti – quella che va da 3,9 fino a 4,4 – c’è in un inno che esalta la Sapienza divina. Essa ha la sua manifestazione soprattutto nel «…libro dei decreti di Dio, la legge che sussiste in eterno» (4,1), ossia nella Torah, la rivelazione divina scritta nella Bibbia, a partire dai primi cinque libri sacri.
Ma la Sapienza si dispiega anche nella magnificenza dell’universo, in particolare attraverso la prima creatura (Genesi 1,3), LA LUCE «…Dio la manda ed essa corre, l’ha chiamata – continua Baruch – ed essa gli obbedisce con tremore» (3,33).
Ecco, allora, la contemplazione delle stelle. Esse sono comparate a sentinelle che hanno ricevuto una collocazione precisa nelle immense regioni del cielo: sono le loro varie postazioni. Il Creatore, come un sovrano o un comandante supremo, le passa in rassegna, chiamandole per nome.
Ed esse rispondono con gioia a Dio che le chiama una per una «…Eccoci!». E il loro brillare vivido è segno di gioia per l’incarico che hanno ottenuto.
E subito il pensiero corre a un Salmo, il 19, che mette in scena i cieli e l’astro maggiore, il sole «…I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento… Là pose una tenda per il sole…» (19, 2.5).
IL CRISTIANO NON VEDE IL COSMO “ROMANTICAMENTE” PER LA SUA BELLEZZA. PERCHÉ’ SA BENE CHE NELLA BIBBIA È VISTO SEMPRE COME UNA OPERA DELLA “CREAZIONE”. ESSO È FRUTTO DI UN PROGETTO, HA UN’ARCHITETTURA, UN’ARMONIA CHE HA ALLA SUA GENESI IL CREATORE.
E SE LO GUARDIAMO CON GLI OCCHI DI DIO, RIUSCIAMO DOVUNQUE A VEDERE APPUNTO “LA MANO DI DIO”.
L’impegno della teologia è quello di individuare l’Artefice che è alla radice di ogni cosa creata. Come si legge nel Libro della Sapienza «…dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (13,5).
Ma torniamo al nostro testo.
I discepoli, partiti senza aver portato al seguito nulla, come Gesù li aveva mandati, avevano sperimentano l’efficacia di un’altra potenza. Avevano osato partire allo sbaraglio, ma non era mancato loro nulla.
Essi avevano capito che siamo messaggeri di salvezza non conquistatori.
La vita di ognuno e di tutti, non dipende dall’accumulo di cose e di beni, che pure ci vogliono.
C’è un minimo necessario per tutti; il di più è solo zavorra che impedisce il cammino, impedisce l’incontro, impedisce la Vita.
Erano entrati nelle case e vi avevano lasciato la pace: avevano visto le vite delle persone accendersi di luce, di un senso di gioia, o di essere risanati, avevano visto i malati guarire.
Nella città, la gente li aveva ascoltati, ed erano riusciti a portare la pace. Poveri di tutto avevano dato il dono più grande: LA PACE.
Immagino la fonte di questa gioia. Essi erano gente povera e senza potere, e gli era stato concesso addirittura di veder sottomettersi loro i demoni. Davvero era valsa la pena fidarsi delle parole di Gesù!
La missione, per loro, era stata fonte di grande gioia. Non basta essere buoni, e starsene come una statua in una nicchia.
Occorre operare il bene. E vedere che il bene vince.
Che un povero rialza la testa, che un altro se ne parte contento da un incontro, che un altro si riconcilia con il fratello…
E tornano dal Signore. Tornare da Gesù è per i settantadue discepoli l’appuntamento obbligato. Sono stati mandati da lui, hanno agito “nel suo nome”, hanno sperimentato la verità di quanto Paolo udì dal Signore “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).
Raccontargli la missione vissuta è il moto spontaneo di chi sa che non è lui il padrone della messe, ma è andato a compiere l’opera di un altro.
Così faranno i primi cristiani, raccontando alla comunità riunita le meraviglie di Dio operate tramite la loro missione. Certamente la Comunità dei discepoli del Signore, deve ritrovare il gusto della semplicità, dobbiamo tornare ad innamorarci, se non della povertà, almeno della sobrietà.
Perché chi è segnato dal Crisma dello Spirito Santo, chi porta in sé il dono del Battesimo, non può mai essere un uomo di potere, non può esibire i segni e la forza del potere, ma del servizio, svolto in Nome di Dio.
Solo i grandi sanno fare della propria forza, della propria sapienza e della propria umanità, delle proprie ricchezze, un dono, una benedizione per i piccoli e i fragili che il Signore mette sulla loro strada.
E la pace che portano, viene insieme con la sobrietà della loro vita, perché la pace viene quando cessa il desiderio di possedere e di dominare, e inizia la capacità di servire e di prendersi cura.
Gesù non ha mai permesso che l’illusione e l’inganno entrasse nel cuore dei suoi discepoli. Sempre li ha illuminati con lo splendore della sua verità eterna. La sequela di Gesù non è nei miracoli, ma nell’umiltà e nella mitezza. È nella croce. Ed a questo siamo stati ELETTI!
I nostri nomi sono scritti nei cieli e Lì rimangono scritti, finché NOI rimaniamo nella Parola di Cristo E LA VIVIAMO COSÌ COME IL CRISTO HA VISSUTO LA PAROLA DEL PADRE: nell’umiltà del cuore e nella mitezza, versando su di essa il proprio sangue.
La nostra via per la salvezza eterna è far vivere Cristo nel nostro cuore. Chi fa vivere il cuore di Cristo nel cuore degli uomini, avrà scritto il suo nome nei cieli.
Potrà vivere anche di grande carità. Ma non lo salva. La carità ha un solo fine. Servire a noi da inchiostro per scrivere il nome di Gesù nel cuore di tutti.
Ragioniamoci sopra…
Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…
Sia Lodato Gesù, il Cristo!