01.06.2023 – GIOVEDI’ SAN GIUSTINO MARTIRE– MARCO 10,46-52 “Rabbunì, che io veda di nuovo!”

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MARCO 10,46-52

+ In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada. Parola del Signore

 

Mediti…AMO

SAN GIUSTINO È UNA LUCE PER IL NOSTRO TEMPO.

Il nostro secolo, che cerca un modello di santità vissuta nelle responsabilità quotidiane, potrebbe trovarlo benissimo in Giustino.

Egli fu infatti un discepolo di Gesù Cristo, esemplare per la serietà della sua indagine intellettuale, come per la fedeltà alla sua fede.

Sempre in cerca della verità, dopo averla scoperta in Gesù Cristo, non smette di approfondirla.

Nel suo continuo cercare rende evidente il dono totale fatto di sé stesso a Cristo, che lo porterà fino al martirio.

Uomo retto e fedele, Giustino fu sale e luce per gli uomini del suo tempo.

La sua famiglia è di probabile origine latina e vive a Flavia Neapolis, in Samaria.

Nato nel paganesimo, Giustino studia a fondo i filosofi greci, e soprattutto Platone.

Poi viene attratto dai Profeti di Israele, e per questa via arriva a farsi cristiano, ricevendo il battesimo verso l’anno 130, a Efeso.

Ma questo non significa una rottura con il suo passato di studioso dell’ellenismo.

Negli anni 131-132 lo troviamo a Roma, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio, annunciatore del Vangelo agli studiosi pagani; un missionario-filosofo, che parla e scrive.

Nella prima delle sue due Apologie, egli onora la sapienza antica, collocandola nel piano divino di salvezza che si realizza in Cristo.

È l’uomo, insomma, dei primi passi nel dialogo con la cultura greco-romana.

Al tempo stesso, Giustino si batte contro i pregiudizi che l’ignoranza alimenta contro i cristiani, esalta il vigore della loro fede anche nella persecuzione, la loro mitezza e l’amore per il prossimo.

Vuole sradicare quella taccia di “nemici dello Stato”, che giustifica avversioni e paure.

Il successivo Dialogo con Trifone ha invece la forma letteraria di una sua disputa a Efeso con un rabbino, nel quale Giustino illustra come Gesù ha dato adempimento in vita e in morte alla Legge e agli annunci dei Profeti.

Predicatore e studioso itinerante, Giustino soggiorna in varie città dell’Impero; ma è ancora a Roma che si conclude la sua vita.

Qui alcuni cristiani sono stati messi a morte come “atei” (cioè sovversivi, nemici dello Stato e dei suoi culti).

Allora lui scrive una seconda Apologia, indirizzata al Senato romano, e si scaglia contro un accanito denunciatore, il filosofo Crescente: sappiano i senatori che costui è un calunniatore, già ampiamente svergognato come tale da lui, Giustino, in pubblici contraddittori.

Ma Crescente sta con il potere, e Giustino finisce in carcere, anche lui come “ateo”, per essere decapitato con altri sei compagni di fede, al tempo dell’imperatore Marco Aurelio.

Lo attestano gli “Acta Sancti Iustini et sociorum“, il cui valore storico è riconosciuto unanimemente. Non ci è noto il luogo della sua sepoltura.

Anche la maggior parte dei suoi scritti è andata perduta. Eppure la sua voce ha continuato a parlare.

Nel Concilio Vaticano I i vescovi vollero che egli fosse ricordato ogni anno dalla Chiesa universale.

E il Concilio Vaticano II ha richiamato il suo insegnamento in due dei suoi testi fondamentali: l

  1. a costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium,
  2. e la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes.

Giustino non arrivò alla “mirabile conoscenza del mistero del Cristo” attraverso le sue ricerche intellettuali, BENSÌ MEDIANTE LA FEDELTÀ ALLA FEDE CHE LO PORTERÀ SINO AL MARTIRIO.

Coi libri che ci ha lasciato, ma più ancora col suo eroico sacrificio, egli proclama anche oggi che gli uomini non vengono salvati dalla loro saggezza, né dall’ostentazione di segni straordinari.

Vengono salvati dalla CROCE DI CRISTO, follia e scandalo per gli uomini, potenza e sapienza di Dio.

Ma veniamo al testo evangelico. Oggi rifletteremo sull’incontro tra Gesù e Bartimèo, un uomo afflitto dalla cecità che grazie a una fede capace di vedere l’invisibile (Eb 11,27 “…per fede abbandonò l’Egitto, senza temere la collera del re, perché rimase costante, come se vedesse Colui che è invisibile”) conosce la salvezza e intraprende il cammino della sequela.

Questo testo del vangelo di Marco contiene elementi che tirano le fila dei primi dieci capitoli del vangelo, ovvero quelli che precedono:

  1. il ministero di Gesù a Gerusalemme (Mc 11,1-13,37)
  2. e la sua passione, morte e resurrezione (Mc 14,1-16,20).

E, nello sviluppo del suo racconto Marco crea una significativa inclusione.

Nella sezione centrale del vangelo (Mc 8,27-10,52), che contiene i tre annunci della passione e in cui Gesù pone i discepoli di fronte alle radicali esigenze della sequela, Marco racconta due racconti di guarigione dalla cecità:

  1. come la guarigione del cieco di Betsaida (Mc 8,22-26) precedeva immediatamente la confessione di Pietro a Cesarea (Mc 8,27-30),
  2. così quella di Bartimeo, l’ultima dell’intero vangelo, è una sorta di preludio all’acclamazione messianica di Gesù da parte delle folle che accompagneranno la sua entrata nella città santa (Mc 11,1-10).

Ora, considerato che per due volte l’evangelista si sofferma sulla medesima cecità, il testo ha un preciso significato.

I due racconti di guarigione di un cieco, infatti, assumono una dimensione simbolica che, al di là delle differenze di ognuno, non può non ricordare la lettura giovannea del segno del cieco nato, di Giovanni 9.

Marco non si limita a raccontare due guarigioni fisiche, s’interroga su quel che significa vedere o essere ciechi, comprendere o non comprendere.

Parallelamente, egli riflette sulla questione della via di Gesù.

Questi due temi d’altronde sono al cuore della pericope di Bartimèo, che è dunque un racconto di svolta:

  • è il punto di arrivo di un cammino di chiarificazione,
  • e l’inizio di un altro cammino che porta a Gerusalemme.

In altre parole, Marco sembra voler dire che il discepolo deve guarire dalla sua “cecità” e purificare il suo sguardo, perché gli eventi che stanno per accadere a Gerusalemme richiedono una vista donata da Dio, altrimenti saranno per lui solo fatti scandalosi e tristi: occorre dunque “vedere” per “seguire” Gesù e non scandalizzarsi di LUI (Mc 14,26).

PIÙ CHE UN RACCONTO DI MIRACOLO, QUESTO TESTO PRESENTA QUINDI UN CAMMINO ESEMPLARE DI FEDE.

NON A CASO, PER MARCO, IL CIECO GUARITO È IL “TIPO” DEL DISCEPOLO, COSÌ COME È IL “TIPO” DEL CATECUMENO CHE, DOPO ESSERSI SPOGLIATO DEGLI ABITI – CIOÈ, SIMBOLICAMENTE, DELL’”UOMO VECCHIO” (Rm 6,6 e Ef 4,22 e Col 3,9) –, SPERIMENTA L’IMMERSIONE BATTESIMALE SCENDENDO NEL BUIO DELLE ACQUE E RIEMERGENDO DA ESSE ALLA LUCE, PER POTERCI VEDERE CHIARAMENTE E CAMMINARE IN NOVITÀ DI VITA (ANTICAMENTE IL BATTESIMO ERA DEFINITO “ILLUMINAZIONE” (Eb 6,4; 10,32).

Il cammino di fede nasce dall’ascolto (Mc 10,47; “fides ex auditu”: Rm 10,17), diviene invocazione e preghiera (Mc 10,47-48), accoglienza di una chiamata (Mc 10,49), incontro salvifico con il Signore Gesù Cristo (Mc 10,50-52a) e infine sequela perseverante (Mc 10,52b) “sulla quella via” che è Gesù Cristo (Gv 14,6).

COME BARTIMÈO ANCHE NOI, QUI E ORA, SIAMO CHIAMATI A PASSARE DALL’IMMOBILITÀ AL METTERCI IN CAMMINO, DALL’EMARGINAZIONE ALLA COMUNIONE, DALLA CECITÀ ALLA FEDE.

In questo cammino che va “di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno mai fine”, possiamo fare nostra una bella esortazione di Clemente di Alessandria:

  • Il comandamento del Signore è limpido, dà luce agli occhi” (Sal 18 [19],9). Accogli Cristo, accogli la facoltà di vedere, accogli la tua luce, affinché tu conosca bene Dio e l’uomo. La Parola che ci ha illuminati è “più preziosa dell’oro e delle pietre preziose, è più desiderabile del miele e del favo” (Sal 18 [19],11). Come può, infatti, non essere desiderabile colui che ha dato luce alla mente ottenebrata e ha aperto alla luce gli occhi del cuore? … Accogliamo la luce, per accogliere Dio; accogliamo la luce e diventiamo discepoli del Signore … Finora ho errato nella mia ricerca di Dio, ma poiché tu mi illumini, Signore, io trovo Dio per mezzo di te e ricevo il Padre da te, divengo tuo coerede (Rm 8,17), poiché non ti sei vergognato di avermi come fratello (Eb2,11). Cancelliamo, dunque, cancelliamo l’oblio della verità, l’ignoranza e, rimuovendo le tenebre che ci impediscono la vista come nebbia per gli occhi, contempliamo il vero Dio, acclamandolo innanzitutto con queste parole: “Salve, o Luce!”. Poiché una luce dal cielo brillò su di noi sepolti nelle tenebre e prigionieri nell’ombra di morte (Is 9,1; Mt 4,16; Lc 1,79), una luce più pura del sole, più dolce della vita terrena.

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!