01.05.2023 LUNEDI’ SAN GIUSEPPE LAVORATORE – MATTEO 13,54-58 “Non è costui il figlio del falegname?”

«Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri antichi, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre». Geremia 6,16

Pietro Saltarelli… il VECCHIO FARISEO COMMENTA…. “In illo tempore: dixit Iesus…”

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Dal Vangelo secondo MATTEO 13,54-58

+In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi. Parola del Signore

Mediti…AMO

Nel Vangelo Gesù è chiamato ‘il figlio del carpentiere’. In modo eminente in questa memoria di san Giuseppe si riconosce la dignità del lavoro umano, come dovere e perfezionamento dell’uomo, esercizio benefico del suo dominio sul creato, servizio della comunità, prolungamento dell’opera del Creatore, contributo al piano della salvezza (Conc. Vat. II, ‘Gaudium et spes”, n.34). Pio XII (1955) istituì questa memoria liturgica nel contesto della festa dei lavoratori, universalmente celebrata il 1° maggio.

Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, di recente fatto Santo, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo. Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto.

Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori, “lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”.

Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola. Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), ma noi non sappiamo né dove né quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli. Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto.

Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del “buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio.

Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale.

Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione.

Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto” (Mt 18-19).

Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21).

Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che “fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé” (Mt 1,24).

Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo.

Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. Fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…) Quello di Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio?

È la domanda che affiora più frequentemente sulle labbra sia di dotti che di semplici fedeli. Sappiamo che la loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (cfr. Mt 1, 18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio comunque vissuto nella comunione più piena e più vera: “una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores). Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno.

Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, ne poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. “La coppia di Maria e Giuseppe costituisce il vertice – ha detto Giovanni Paolo II – dal quale la santità si espande su tutta la terra” (Redemptoris Custos, n.7).

La coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima “chiesa domestica” della storia, anticipa per così dire la condizione finale del Regno (Lc 20, 34-36; Mt 22,30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione del Paradiso, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino.

“Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…” (cap. VI dell’Autobiografia).

Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo.

Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste.

Ma veniamo brevemente al testo che il Vangelo ci regala oggi.

Il vangelo di oggi racconta la visita di Gesù a Nazareth, la sua comunità di origine. Il passaggio per Nazareth fu doloroso per Gesù. Quella che prima era la sua comunità, ora non lo è più. Qualcosa è cambiato. Dove non c’è fede, Gesù non può fare miracoli.

Dopo una lunga assenza, anche Gesù ritorna, come al solito, un sabato, e si reca alla riunione della comunità. E Gesù prende la parola. Segno questo, che le persone potevano partecipare ed esprimere la loro opinione. La gente rimane ammirata, non capisce l’atteggiamento di Gesù “Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli?”

Gesù, figlio del posto, che loro conoscevano fin da quando era bambino, come mai ora è così diverso? La gente di Nazareth rimane scandalizzata e non lo accetta”…da dove mai viene a costui questa sapienza? Non è il figlio del carpentiere?”, ovvero quello che non ha studiato e non può avere cultura?

La gente non accetta il mistero di Dio presente nell’uomo comune come loro conoscevano Gesù. Per poter parlare di Dio lui doveva essere diverso.

Fratelli e Sorelle, noi sappiamo bene che la sapienza di Gesù è sapienza divina ed egli ha insistito varie volte sul mistero di Dio che viene rivelato ai piccoli, ai semplici e nascosto ai sapienti ed ha criticato gli scribi “che dicono e non fanno“.

D’altra parte il Vangelo insiste anche sulla parola: è necessario accogliere la PAROLA DI DIO. E soltanto se ispirato alla parola di Dio il lavoro vale:

  • Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre“.

Tutto quello che fate“, siano essi i lavori materiali, siano i discorsi. Il Vangelo ci dice che il servizio sincero, umile, la disponibilità nella carità, sta nel farlo nel Nome di Gesù Cristo, il figlio del carpentiere, che ha dichiarato di essere venuto “per servire… e non per essere servito.

La vera dignità consiste nel servizio dei fratelli, secondo le proprie capacità, in unione con Gesù, Figlio di Dio.

Verifichiamo la nostra scala di valori, per renderla sempre più aderente alla Parola di Dio. Dobbiamo sempre tener presente però che quando la Parola di Dio non garba molto o è scomoda, nel cuore di tanti suscita insofferenza, disagio, e, alla fine, una reazione anche violenta, soprattutto tra quelle persone che dovrebbero accoglierla con più entusiasmo.

La fede ottiene miracoli, ma le persone incredule non saranno mai destinatarie di un miracolo del Signore perché non riuscirebbero a vederlo. Se manca la fede infatti, la forza e l’amore di Gesù non possono guarire, non possono salvare. “Aumenta la nostra fede!”, chiesero un giorno gli Apostoli al Signore.

E il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe” (Lc 17,6).

Ragioniamoci sopra…

Il Signore IDDIO ti Benedica

E tu Prega il Signore per me… Fratello che Leggi…

Sia Lodato Gesù, il Cristo!